Prof. Carlo Palombo, Cardiologo, già Professore Associato di Medicina Interna dell’Università di Pisa e Fellow della Società Europea di Cardiologia (FESC)
Premessa
Nonostante gli indubbi progressi conseguiti in ambito preventivo e terapeutico, l’infarto miocardico acuto rimane ancora uno degli eventi clinici più temuti come causa di morte ed invalidità nella popolazione di età generalmente superiore ai 50 anni, pur se non sono rari i casi di malattia più precoce.
Ogni anno in Italia circa 120 mila persone sono colpite da infarto. Di queste, circa 25 mila muoiono prima di arrivare in ospedale. Ma fra i 95 mila che arrivano in un centro di cura la mortalità è “limitata” al 10-11%.
Complessivamente la malattia colpisce il genere maschile più di quello femminile, ma mentre la donna appare relativamente “protetta” fino all’età della menopausa, dopo questa fase l’incidenza di nuovi casi di malattia tende ad equipararsi.
Addirittura le donne mostrano una certa tendenza a sviluppare una malattia più grave con l’aumentare dell’età.
Che cos’è l’infarto miocardico acuto?
L’infarto miocardico acuto (IMA) costituisce una malattia del muscolo cardiaco ad insorgenza rapida, in cui una brusca interruzione totale o subtotale del flusso di sangue (“ischemia”) di durata superiore ai 20 minuti ad una certa regione miocardica provoca la morte cellulare (necrosi) delle cellule interessate. Possono essere interessati tutti i vasi cardiaci.
Quali sono le cause scatenanti dell’infarto miocardico acuto?*
L’Infarto miocardico acuto costituisce una patologia tipicamente multifattoriale, in cui generalmente a restringimenti (stenosi) aterosclerotici cronici delle arterie coronarie, quelle che garantiscono l’apporto di sangue al cuore, si sovrappone una ostruzione completa in una di esse per accumulo di piastrine (aggregazione piastrinica) e attivazione della coagulazione con formazione di un vero e proprio “tappo” (il trombo, costituito da piastrine e fibrina).
Se il trombo non viene prontamente “sciolto” dai meccanismi antitrombotici fisiologici o da interventi terapeutici appropriati, i miocardiociti a valle dell’occlusione, non più irrorati e riforniti di ossigeno e nutrienti, vanno in necrosi e nel corso di giorni/settimane vengono sostituiti da una “cicatrice”.
Bisogna ricordare per completezza che, per quanto lo schema descritto rispecchi la maggior parte delle situazioni, l’occlusione coronarica acuta si può verificare anche in arterie apparentemente libere da aterosclerosi, o per formazione acuta di un trombo per cause in larga misura imprevedibili, o per una vasocostrizione che provochi anch’essa una chiusura totale del vaso altrettanto imprevedibile (spasmo coronarico), di durata prolungata (vari minuti), su cui poi in genere si forma anche un trombo.
Tra le sindromi anche la Sindrome di Takotsubo di cui abbiamo parlato qui.
Quali sono le conseguenze immediate dell’infarto miocardico acuto?
L’interruzione completa e persistente del flusso di sangue ad una regione miocardica diminuisce l’efficienza contrattile del ventricolo sinistro in misura approssimativamente proporzionale alla perdita di tessuto vitale, e ne aumenta la suscettibilità alle aritmie.
Quindi si possono avere complicanze gravi come edema polmonare acuto, ipotensione e shock, fino alla morte improvvisa. Dello scompenso cardiaco ne abbiamo parlato in un altro articolo (vedi qui)
Più rare, e meno frequenti di un tempo per le terapie più tempestive ed efficaci, sono la rottura di cuore ed una grave insufficienza della valvola mitrale effetto di ischemia e/o infarto di un muscolo papillare.
L’Infarto miocardio acuto come evento clinico “tempo dipendente”
E’ fondamentale riconoscere tempestivamente l’IMA perché quanto più precocemente si risolve l’interruzione del flusso di sangue (“riperfusione”) tanto minori sono le conseguenze sfavorevoli sia nella fase acuta che a distanza di tempo.
Questa caratteristica fa dell’infarto miocardico acuto quel che oggi si indica come patologia “tempo-dipendente”, analogamente ad altre condizioni come l’ictus cerebrale. Se la riperfusione avviene entro una o due ore dall’inizio dei sintomi, nella maggior parte dei casi l’estensione della necrosi può essere minima e gli effetti dell’infarto anche a distanza di tempo possono essere trascurabili e non riconoscibili nemmeno all’elettrocardiogramma o all’ecocardiogramma.
Per ridurre al minimo il tempo che intercorre dai primi sintomi alla terapia è pertanto necessario agire molto rapidamente, a partire dalla capacità del paziente di riconoscere i sintomi alla diagnosi tempestiva in ambulanza e/o pronto soccorso alla terapia pressoché immediata da parte degli specialisti cardiologi. Al fine di massimizzare l’efficacia di questa serie di interventi, il Sistema Sanitario Nazionale ha sviluppato la così detta “Rete delle Emergenze”, che coordina il 118, il Pronto Soccorso e la Cardiologia abilitata al trattamento acuto interventistico (generalmente angioplastica associata a stent, in casi particolari cardiochirurgia).
Dalla parte del paziente: come riconoscere i sintomi dell’infarto miocardico acuto
E’ ben noto che il sintomo principale e caratteristico sia dell’ischemia miocardica (transitoria) che dell’infarto miocardico è rappresentato da un dolore toracico con carattere generalmente gravativo (sensazione di peso) o costrittivo (sentirsi stringere) in corrispondenza dello sterno (sede “retrosternale”) o alla sua sinistra (precordiale), che generalmente si estende (“irradia”) al braccio sinistro.
Esistono però anche localizzazioni “atipiche” del dolore (epigastrica, soprasternale e cervicale, e persino mandibolare) che possono far pensare a problemi di diversa natura, come una gastrite o un reflusso gastroesofageo, inducendo il paziente a ritardare la chiamata al 118.
Non solo, ma più raramente si hanno sintomi diversi dal dolore, come sensazione di mancanza di forze (astenia e adinamia), difficoltà respiratoria (“dispnea”) sudorazione, ed in tal caso sono fondamentali il ruolo del paziente nel non sottovalutare questi sintomi e quello del medico di primo intervento (anche telefonico) nell’ipotizzare l’infarto acuto tra le varie opzioni diagnostiche. Infine, in una percentuale limitata ma non irrilevante di casi l’infarto decorre inavvertito, “asintomatico” o “silente”, e potrà essere diagnosticato successivamente nel corso di un elettrocardiogramma (ECG) eseguito per le ragioni più varie.
Comunque, in presenza di uno o più dei sintomi suddetti, è fondamentale rivolgersi al 118 che indirizzerà immediatamente il paziente al P.S., possibilmente eseguendo un ECG già in ambulanza e somministrando il farmaco di primo intervento, la nitroglicerina, che può risolvere il dolore se non si tratta ancora di un vero e proprio infarto con occlusione completa del vaso.
Emergenza Medica e Pronto Soccorso: conferma della diagnosi
L’Elettrocardiogramma (ECG) ha un ruolo fondamentale nella gestione appropriata del paziente con dolore toracico acuto. In presenza di alterazioni caratteristiche note come “sopraslivellamento del tratto ST” in corso di dolore toracico “tipico” si configura la condizione nota come STEMI (acronimo inglese che indica “Infarto miocardico con sopraslivellamento ST”), che si distingue dall’infarto miocardico senza sopraslivellamento ST o NSTEMI.
Acquisita ulteriore conferma dall’osservazione di un’alterazione regionale della contrazione miocardica mediante un rapido ecocardiogramma, il paziente con STEMI verrà indirizzato tempestivamente ad una procedura di ricanalizzazione (riapertura) del vaso presumibilmente occluso, preferibilmente mediante angioplastica (“palloncino”) previa coronarografia, ed eseguito un prelievo di sangue per Troponina, il cui risultato sarà utile successivamente. Naturalmente in questa fase il paziente riceverà anche farmaci antitrombotici finalizzati a facilitare l’esito dell’angioplastica, ed altri secondo necessità (per esempio, antipertensivi in presenza di crisi ipertensiva). Laddove l’angioplastica non sia praticabile entro due ore dall’insorgenza dei sintomi per indisponibilità delle strutture idonee (“cardiologia interventistica”), verrà somministrato per via endovenosa (“sistemica”) un farmaco “trombolitico”, essendo prioritario, al fine di un buon esito del caso, minimizzare il tempo dall’insorgenza dei sintomi alla riperfusione .
Nei casi in cui i dati clinici (sintomi), ematici (Troponina), e strumentali (ECG ed ecocardiogramma) non orientino concordemente verso la diagnosi di STEMI, l’indicazione generale è quella di monitorizzare il paziente in Pronto Soccorso o reparto cardiologico, praticando le terapie farmacologiche appropriate, in attesa di definire la diagnosi.
Il paziente con STEMI: quale futuro?
I principali fattori che condizionano la prognosi (ovvero una prospettiva favorevole o meno, in termini di mortalità, recidive di malattia, qualità di vita) sono notoriamente il grado di compromissione della funzione del ventricolo sinistro dopo l’infarto, l’estensione della malattia aterosclerotica delle coronarie, la persistenza di ischemia miocardica durante sforzo (“ischemia inducibile”) ed il profilo di rischio riconducibile a ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, fumo.
Grazie alla tempestività e all’efficacia degli interventi terapeutici di rivascolarizzazione precocissima e dell’insieme delle procedure di monitoraggio e trattamento farmacologico “complementare”, in una consistente quota di pazienti può quasi “non restare traccia” dell’evento infartuale.
Peraltro, alla luce di studi longitudinali (valutazione a distanza di tempo) su ampie casistiche di migliaia di pazienti, chi ha subito un evento infartuale è prudenzialmente considerato “per sé” un paziente ad alto rischio. Quindi, una volta concluso l’iter della fase acuta, dovrà essere sottoposto a valutazione accurata clinica e strumentale e trattamento farmacologico “aggressivo” nei confronti dei fattori di rischio, con periodici controlli presso uno specialista di fiducia.
Prevenzione Cardiovascolare Secondaria e Primaria
Tutte le misure farmacologiche e quelle riguardanti modificazioni dello stile di vita finalizzate alla riduzione del rischio di nuovi episodi infartuali, scompenso cardiaco, morte, rientrano nell’ambito della così detta “prevenzione secondaria”, in altri termini quella che si attua dopo che si è già verificato un evento clinico maggiore.
Peraltro, un’ulteriore riduzione degli oneri umani, sociali ed economici delle malattie cardiache su base ischemica si basa su una efficace azione di “prevenzione primaria”, finalizzata a prevenire/evitare lo sviluppo di malattia con un insieme di appropriate campagne di informazione e sensibilizzazione, educazione in ambito dietetico e motorio, prevenzione dell’obesità, controllo assiduo dei fattori di rischio noti, e diagnosi precoce nei casi con sospetto di patologia ischemica cronica del miocardio.
Il Triangolo Strategico per una Prevenzione Efficace: Paziente, Medico di Medicina Generale, Cardiologo di fiducia
E’ quindi evidente come il paziente che abbia già avuto un evento, il paziente con fattori di rischio noti (fumo, ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemia, obesità), il soggetto normale attento a prevenire la malattia, soprattutto se con familiarità, debbano far riferimento regolare al Medico di Medicina Generale ed al Cardiologo di fiducia in una “triangolazione virtuosa” per adottare caso per caso le misure igienico-dietetiche, diagnostiche e terapeutiche più appropriate, seguendo un approccio il più possibile personalizzato e partecipativo.
Riassunto per punti
a) L’infarto miocardico acuto è una patologia multifattoriale associata ad elevata mortalità e incidenza di complicanze importanti se non si interviene tempestivamente;
b) L’infarto miocardico acuto è una patologia “tempo-dipendente” in cui una diagnosi e terapia tempestiva possono limitarne significativamente gli effetti sfavorevoli;
c) Di fondamentale importanza è l’educazione dei cittadini a riconoscere il dolore toracico e gli altri sintomi dell’ischemia ed infarto miocardici;
d) Dopo un infarto, il paziente deve essere sottoposto ad un programma di “Prevenzione secondaria” che comprenda precise misure farmacologiche ed eventualmente modificazioni dello stile di vita;
e) Al fine di limitare i nuovi casi di infarto miocardico occorrono educazione alla salute, screening appropriato dei fattori di rischio noti come ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia, obesità, fumo, ed eventuali test diagnostici strumentali “mirati” ed appropriati per il singolo paziente (“Prevenzione primaria”);
f) Il ruolo del MMG e del Cardiologo ambulatoriale sono essenziali dal punto di vista sia della prevenzione primaria che secondaria, mediante un’attenta educazione ad uno stile di vita corretto, il trattamento appropriato dei fattori di rischio, il controllo regolare dei pazienti che rientrano nelle “categorie di rischio” maggiori, la corretta interpretazione di eventuali sintomi premonitori, ed una prescrizione “ponderata” di eventuali esami strumentali che possano rivelare la malattia in fase preclinica e silente.
Fonti Bibliografiche
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