Con il termine scompenso cardiaco si intende quella condizione clinica in cui il cuore non è più in grado di pompare efficacemente il sangue in tutti i distretti corporei. In questa situazione il cuore non riesce quindi più a sopperire alle esigenze dell’organismo. Tutto ciò ha importanti ripercussioni cliniche che vedremo nel nostro articolo. Ci concentreremo inoltre sulle cause alla base di questa patologia complessa che è tra le principali cause di morte in Italia.
[mdspecresult id=”1″]Cause di scompenso cardiaco
Spesso l’insufficienza cardiaca è una manifestazione dello stadio terminale di altre forme di cardiopatia, come la cardiopatia ischemica ovvero post infarto del miocardio; la cardiopatia ipertensiva che si sviluppa in seguito al danno cardiaco dovuto all’ipertensione arteriosa; oppure la cardiopatia valvolare che è dovuta all’alterazione di una o più delle quattro valvole cardiache.
Altre cause includono quanto segue:
- Anomalie primarie del muscolo cardiaco note come cardiomiopatie, ad esempio cardiomiopatie dilatative, familiari, peripartum e infiltrative;
- Tossine che danneggiano il muscolo cardiaco, ad esempio, uso di alcol o cocaina, nonché terapie contro il cancro;
- Infiammazioni gravi, come ad esempio miocardite, oppure infezione da HIV che determina AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) oppure la malattia di Chagas.
Sintomi
Spesso i sintomi non sono evidenti soprattutto se il paziente è allo stadio precoce della malattia. In altre situazioni i sintomi sono particolarmente manifesti perché il cuore non riesce a pompare bene il sangue e organi nobili come per esempio i reni e il cervello ne soffrono. I sintomi che si possono manifestare sono:
- Affanno o dispnea;
- Gonfiore agli arti inferiori e in particolare alle caviglie (segno della fovea positivo);
- Senso di stanchezza perenne;
- Alterazione del sonno a causa di problemi respiratori;
- Inappetenza e gonfiore o dolore addominale;
- Tosse;
- Aumento della minzione notturna;
- Confusione e perdite di memoria.
Come si fa la diagnosi
L’insufficienza cardiaca viene diagnosticata attraverso un’attenta anamnesi e l’esame obiettivo, ma vengono spesso eseguiti ulteriori esami diagnostici, tra cui il dosaggio del peptide natriuretico di tipo B e l’esecuzione dell’ecocardiografia. I tassi di mortalità a cinque anni continuano a essere stimati al 50% nei paesi ad alto reddito purtroppo. Tutto ciò fa capire la gravità della patologia.
Terapie
La farmacoterapia per l’insufficienza cardiaca ha dimostrato grandi benefici per gli individui che hanno l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra ridotta (frazione di eiezione < 40 percento). I pazienti invece che hanno insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata (frazione di eiezione ≥ 40%) possono trarre benefici sintomatici dai diuretici per la gestione del volume intravascolare, ma altri farmaci non riescono a migliorare gli esiti clinici. I farmaci che vengono utilizzati sono:
Diuretici
I diuretici agiscono favorendo la perdita di acqua attraverso i reni, aumentando così la produzione di urina e diminuendo il volume intravascolare. Gli effetti indesiderati comuni includono disturbi elettrolitici e anomalie della funzione renale, in particolare se somministrati a dosi elevate. I diuretici sono un pilastro nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. Si è visto che riescono a ridurre la mortalità e i ricoveri ospedalieri.
Beta-bloccanti
I beta-bloccanti agiscono riducendo gli effetti dello stress neuro-ormonale che si sviluppa dall’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta, aiutando il cuore a rafforzarsi nel tempo. I beta-bloccanti sono diventati parte integrante della farmacoterapia cronica per i pazienti con scompenso cardiaco che hanno una frazione di eiezione ridotta. I dati di 22 studi randomizzati controllati che includevano 10.480 partecipanti hanno dimostrato una riduzione della mortalità grazie all’uso dei beta-bloccanti rispetto al placebo.
[mdspecresult id=”1″]Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e bloccanti del recettore dell’angiotensina
Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi) agiscono riducendo gli effetti dello stress neuro-ormonale che si sviluppa dallo scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta e aiutano il cuore a rafforzarsi nel tempo. Gli ACEi sono un’altra parte integrante del regime di farmacoterapia cronica per i pazienti con insufficienza cardiaca che hanno una frazione di eiezione ridotta. I dati di 32 studi che hanno randomizzato 7.205 partecipanti hanno dimostrato una riduzione della mortalità e del rischio di ricoveri per scompenso cardiaco rispetto al placebo.
Per i pazienti che non tollerano gli ACEi per via dei loro effetti collaterali, come per esempio angioedema, elevati livelli sierici di potassio o funzionalità renale anormale, si raccomandano spesso i bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) ovvero i sartani. I dati di nove studi che hanno randomizzato 4.643 partecipanti hanno dimostrato una riduzione della mortalità grazie all’uso dei sartani. La terapia di combinazione con ACEi e ARB non è raccomandata perché è associata ad un aumentato rischio di iperkaliemia, ipotensione e insufficienza renale, senza ridurre la mortalità.
Antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi
Una revisione sistematica e una meta-analisi di 19 studi hanno dimostrato una riduzione del 20% della morte per tutte le cause da antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi in pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra rispetto al placebo.
Digossina
La digossina agisce bloccando le pompe dei canali ionici per migliorare la funzione del cuore. La digossina non ha effetto sulla mortalità. Tuttavia, diversi studi suggeriscono che la digossina riduce i tassi di ospedalizzazione correlati all’insufficienza cardiaca. La digossina ha purtroppo un’elevata frequenza di effetti avversi che ne limita fortemente l’uso diffuso.
[mdspecresult id=”1″]Inotropi
Gli inotropi agiscono aumentando la forza e la frequenza di pompaggio del cuore e riducendo la pressione all’interno al suo interno in modo che possa pompare più facilmente. Per i pazienti ricoverati con grave disfunzione sistolica ventricolare sinistra e bassa pressione sanguigna attribuibile a bassa gittata cardiaca, si può considerare l’uso a breve termine di inotropi per via endovenosa per preservare la funzione dell’organo terminale. Tuttavia, gli studi non hanno dimostrato miglioramenti negli eventi fatali. Al di fuori di queste condizioni, gli inotropi possono essere dannosi.